martedì 13 marzo 2012

Il destino dei Malou

Leggiamo molto coinvolti, nella bella traduzione di Federica di Lella e Maria Laura Vanorio,  ancora un romanzo americano di  Georges Simenon (Liegi, 1903-Losanna 1989). Scritto in Florida nel 1947 e stampato lo stesso anno, Il destino dei Malou (pp.200, euro18), ci viene proposto sempre da Adelphi, che dal 1985 ne cura la riedizione dell’opera omnia.  Una delle novità che troviamo in queste pagine, rispetto ad altri romanzi dell’autore, è il dualismo di interpretazione, quasi un  doublage, rispetto all’indole e al carattere del personaggio che conosciamo post mortem, il tanto chiacchierato  Eugène Malou, riguardo all’ottica e all’angolo di visuale di chi lo sta considerando.
E’ uno squallido truffatore l’affarista suicida già nelle prime battute della narrazione – oggi considerato un palazzinaro -, oppure un uomo che venuto dal niente, dalla suburra della società, si è sacrificato fino allo strazio per dare agio e benessere alla propria famiglia? A Simenon sono sempre piaciute queste contorsioni psicologiche, questo rimescolio nei meandri dell’animo,  poiché sa bene quanto sia contorta l’umanità e quanto il grigio sia più attendibile del bianco o del nero, in quanto a colore del cuore dei suoi simili.
Il romanzo si apre con una revolverata. Alle quattro e un quarto di un caliginoso novembre, in un paesino alle porte di Parigi, Eugène Malou esce da un aristocratico palazzo di rue de Moulins e si spara un colpo in faccia. Sarà accolto agonizzante nella vicina farmacia e lì chiuderà i suoi giorni, dopo terribile strazio, sotto gli occhi dei suoi compaesani che di lui solo sembrano sapere la disgrazia economica in cui è caduto, quale imprenditore edile, convinti della sua mancanza di integrità morale. Pubblica opinione fomentata dalla pessima campagna di stampa del Phare du centre, il quotidiano locale che sembra aver inzuppato il pane dentro episodi torbidi ed infamanti del passato dell’uomo che si è tolto la vita.
Tra la frotta di studenti che, in quel momento, passa casualmente per strada, c’è il diciassettenne Alain Malou che resterà per sempre vulnerato dal terribile spettacolo della morte del padre. Ora, spetta proprio a lui di comunicare in casa la notizia. Incontrerà solo finzione di dolore da parte di una madre fatua e vanesia (che, per associazione d’idee assimiliamo a Fanny Némirovsky, madre della grande Irène, tante volte protagonista dei suoi romanzi). Poco dolore anche da parte del fratello di primo letto di Alain, preso dalle sue modeste ambizioni di vita e, ancor meno, da Corine, la carnale e dissoluta sorella. Una famiglia avvelenata dai rancori che, morto Eugène, non tarda a sbranarsi, arraffando quello che può, quando ormai non vi è più danaro, nemmeno per il funerale. E Simenon è maestro nell’intingere la penna dentro la mediocrità e la bassezza di alcuni suoi personaggi. Alain, li osserva in silenzio. Si sente diverso da loro e decide, nonostante tutto, di restare in quel paese di provincia ostile, cercando la verità sul padre, scegliendosi un destino diverso. Grazie a due amici veri del padre così infangato, ricostruisce una vita fatta di espedienti e di affari al limite del reato. Ma scopre anche un padre che ha dato la propria vita per il benessere della sua famiglia, un ragazzo nato poverissimo che ha lottato per raggiungere una posizione ai piani alti. Un epilogo inconsueto per l’autore belga che ci aveva abituati ai finali cupi e tragici, perché nel giovane Alain c’è il germe del perdono e della speranza in  una vita migliore, nonostante le umiliazioni inflittegli dal crudele oscurantismo della piccola borghesia che lo attornia e non lo favorisce di certo.
Grazia Giordani